IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA Ha pronunziato la seguente ordinanza nel procedimento relativo a revoca detenzione domiciliare all'udienza dell'8 luglio 1997 nei confronti del condannato Lazzari Giuseppe nato a Merano il 16 maggio 1957 attualmente residente a Torino, c.so Agnelli 114 in espiazione pena residua anni 21 mesi 7 e giorni 20 reclusione inflittagli con cumulo procura generale Milano 11 marzo 1995 difeso dall'avv. Coluccio d'ufficio; Visto il parere favorevole alla revoca del p.g.; Visti gli atti del procedimento di sorveglianza sopra specificato; Verificata preliminarmente la regolarita' delle comunicazioni relative ai prescritti avvisi al rappresentante del p.m., all'interessato e al difensore; Considerate le risultanze delle documentazioni acquisite, delle investigazioni e degli accertamenti svolti, della trattazione e della discussione di cui a separato verbale. Osserva in fatto In data 22 febbraio 1995 il tribunale di sorveglianza di Roma concedeva al condannato Lazzari Giuseppe il beneficio della detenzione domiciliare affinche' lo stesso espiasse nella predetta forma alternativa la pena residua di anni 21 mesi 7 e giorni 20 di reclusione determinata con provvedimento di cumulo n. 18/93 r.e.s. emesso dalla procura generale presso la Corte d'appello di Milano. Tale misura veniva concessa in deroga alle vigenti disposizioni riguardanti i limiti di pena (art. 47-ter primo comma o.p.) poiche' il Lazzari risultava essere titolare dal giugno 1994 dello speciale programma di protezione definito dall'art. 10 della legge 15 marzo 1991 n. 82: l'attuale fine pena del soggetto risulta infatti essere fissato, salvi gli effetti della liberazione anticipata di cui lo stesso potra' fruire, al 17 giugno 2009. In data 27 maggio 1996 il magistrato di sorveglianza di Roma, su richiesta del Servizio centrale di protezione e in ottemperanza alle ragioni di tutela della sicurezza personale dell'interessato e di prevenzione dal pericolo di ricaduta nel reato, modificava le prescrizioni inerenti la misura alternativa concedendo al Lazzari la facolta' di uscire dall'abitazione per alcune ore della giornata. Con provvedimento 10 febbraio 1997 il tribunale di sorveglianza di Roma autorizzava il trasferimento del domicilio del condannato in Torino, c.so Agnelli 114, in quanto il 1 ottobre 1996 la Commissione centrale per i servizi speciali di protezione non aveva prorogato il programma per la tutela dell'incolumita' del soggetto e il predetto indirizzo risultava essere il luogo di abituale dimora del Lazzari: e' risultato, nel corso dei successivi accertamenti, che detta revoca non e' dipesa da inosservanza da parte del Lazzari degli impegni assunti con la sottoscrizione del programma stesso. In data 10 aprile 1997 il Lazzari chiedeva al magistrato di sorveglianza di Torino, nuova sede di competenza per l'esecuzione della misura, l'autorizzazione ad assentarsi dall'abitazione per svolgere attivita' di lavoro diurna presso la Euro s. coop. a r.l. corrente in Beinasco in qualita' di socio lavoratore. Il predetto organo, rilevato che l'ampia modifica alle prescrizioni imposte con la misura alternativa in corso avrebbe, pur essendo del tutto conforme alle esigenze di vita sociale dell'istante, snaturato completamente il contenuto della misura in corso a carattere detentivo e restrittivo e dubitando che il venire meno della sottoposizione allo speciale programma di protezione potesse ancora legittimare la prosecuzione del beneficio, atteso che la pena residua espianda a carico del condannato risultava ancora superiore al limite di tre anni fissato dall'art. 47-ter o.p., rimetteva gli atti al tribunale di sorveglianza competente instaurando il procedimento di revoca della misura senza sospensione cautelativa della stessa. All'udienza fissata in camera di consiglio innanzi all'organo collegiale, la difesa del Lazzari invocava la decisione di non far luogo a revoca del beneficio, imponendo al magistrato di sorveglianza di modificare, nel senso richiesto dal detenuto, le prescrizioni inerenti la misura: a sostegno della tesi favorevole alla prosecuzione della misura, pur in assenza del revocato programma di protezione, il difensore citava il disposto dell'art. 5 del d.m. 24 novembre 1994 n. 687, contenente le disposizioni regolamentari per la formulazione dei programmi di protezione a favore dei collaboratori di giustizia e l'esecuzione degli stessi, che testualmente recita (comma 9): "Salva la facolta' della commissione di richiedere all'autorita' competente di procedere al riesame dei provvedimenti emessi a norma dell'art. 13-ter della legge, la modifica o la revoca dello speciale programma di protezione non produce effetti sui provvedimenti medesimi ...". Il rappresentante del pubblico ministero invece concludeva per la necessarieta' della revoca della misura in corso, allo scopo di rispettare il dettato normativo dell'art. 13-ter legge n. 91/1982 che subordina l'espiazione di pena in forma alternativa da parte dei collaboratori, fuori dei casi ordinari di ammissibilita', alla sottoposizione allo specifico programma di protezione. Al termine della predetta udienza d'ufficio e' stata eccepita le seguente questione: In diritto L'art. 13-ter della legge 15 marzo 1991 n. 82 disciplina specificatamente l'ammissione ai benefici previsti dall'ordinamento penitenziario di quei condannati che per la collaborazione prestata agli organi di giustizia, abbiano esigenze impellenti di tutela della loro sicurezza e incolumita' personale tanto da dovere sottostare ad una serie di misure e accorgimenti atti a realizzare le esigenze predette (lo speciale programma di protezione, appunto). La concessione a questi soggetti delle misure alternative alla detenzione od equivalenti (permessi premio o lavoro all'esterno) e' subordinata al preventivo parere dell'autorita' che ha predisposto il programma; cio' chiaramente si giustifica in vista del soddisfacimento della primaria esigenza di tutela personale dei collaboratori, giacche' anche la concessione dei benefici esterni senza i necessari accorgimenti sulle modalita' di fruizione degli stessi, potrebbe esporre a rischi maggiori la sicurezza dei soggetti "speciali" che vi sono ammessi. Proprio al fine di garantirne la incolumita' personale, le misure predette possono essere concesse anche in deroga alle vigenti disposizioni, comprese quelle relative al limite di pena previsti. Niente dispone la norma dell'art. 13-ter legge citata in merito alle determinazioni da adottare in caso di revoca dello speciale programma di protezione. Nulla quaestio sussiste nell'ipotesi in cui il collaboratore abbia violato gli impegni assunti con la sottoscrizione dello speciale programma di protezione: in questo caso la revoca della misura alternativa alla detenzione applicata in corso di sottoposizione alle misure speciali di tutela personale e la conseguente riassociazione del condannato al regime di detenzione ordinario, costituisce una lecita punizione per la trasgressione agli obblighi imposti. L'interpretazione dell'art. 13-ter legge n. 81/1991 nel senso di ritenere, pur se non esplicitamente prevista, comunque ricompresa nel suo disposto la revoca della misura alternativa alla detenzione concessa in corso di sottoposizione allo speciale programma di protezione, nel caso in cui la cessazione dello stesso sia dipeso da violazioni alle regole commesse dal collaboratore, e' logicamente coerente con la ratio e con il contenuto teleologico della norma. Quid iuris nel caso, tra cui rientra quello oggetto del presente procedimento all'esame del tribunale, che lo speciale programma di protezione nei confronti del collaboratore sia stato revocato per ragioni non attinenti a comportamento colpevole del collaboratore, per essere per esempio venuti meno la attualita' e la gravita' del pericolo che minaccia la sua incolumita' personale? Ne' puo' risolvere il dubbio interpretativo la disposizione contenuta nell'art. 5 del regolamento esecutivo alla legge n. 82/1991 approvato con d.m. 24 novembre 1994 n. 687 che prevede la non automatica efficacia della revoca dello speciale programma di protezione sui provvedimenti emessi dal tribunale di sorveglianza ai sensi dell'art. 13-ter legge citata: trattasi infatti di fonte normativa subordinata alla legge principale (art. 1 disposizioni sulla legge in generale premesse al codice civile), che in alcun modo non preclude l'autonoma valutazione da parte del tribunale (che e' fra l'altro l'unico responsabile e l'unico censore della gestione della misura alternativa concessa) sulla ammissibilita' della permanenza del collaboratore alla fruizione dei benefici in caso di eventi ulteriori (comportamenti lesivi delle prescrizioni inerenti la misura, sopravvenienza di nuovi titoli privativi della liberta', modifica del luogo di esecuzione etc.). Si ponga il caso in esame in cui la revoca dello speciale programma di protezione avvenga per cause non imputabili al collaboratore: una interpretazione dell'art. 13-ter, nel senso che la permanenza in regime di misura alternativa fuori dei limiti fissati dalla legge per i casi ordinari, e' subordinata solamente alla insistenza dello stesso programma di protezione (conformemente al disposto letterale della norma che cita "Nei confronti di persone ammesse allo speciale programma di protezione ..." e non recita "gia' ammesse" o "nei confronti di coloro per i quali la revoca del programma sia dipesa da cause incolpevoli") genererebbe l'obbligo per il competente tribunale di sorveglianza di revocare la misura in corso qualora non permangano le ordinarie condizioni di ammissibilita' (limiti di pena inferiori a tre anni di pena detentiva). Questa interpretazione tuttavia suscita dubbi di conformita' della disposizione citata ai principi fissati dall'art. 27, terzo comma e 13 della Costituzione. Infatti nel disporre che la pena deve tendere alla rieducazione del condannato, la prima norma esclude che la stessa possa tramutarsi in senso peggiorativo e restrittivo per il condannato, senza che questo sia dipeso da violazione da parte dello stesso degli obblighi di comportamento a lui imposti: il collaboratore dismesso dallo speciale programma di protezione per ragioni non attinenti a sue responsabilita', non ha violato il patto di collaborazione siglato con lo Stato e si troverebbe ingiustamente retrocesso ad espiare la pena in forma rigidamente restrittiva senza che cio' sia dipeso dalla sua personale e consapevole condotta. Tale soluzione interpretativa dell'art. 13-ter contrasterebbe anche con l'art. 13 della Carta costituzionale che impone la limitazione della liberta' personale soltanto nei modi e nei casi previsti dalla legge: nell'imporre il ripristino della detenzione in forma ordinaria per il collaboratore incolpevole che non si trovi nelle condizioni per fruire ordinariamente delle misure alternative, l'art. 13-ter introdurrebbe una forma di limitazione della liberta' personale del tutto immotivata che lede il principio della inviolabilita' della stessa. Per contro, l'art. 13-ter legge n. 82/1991 incontra dubbi di incostituzionalita' anche nell'ipotesi in cui venga interpretato in senso piu' favorevole al condannato. Si faccia l'ipotesi che la revoca del programma di protezione per cause incolpevoli, non comporti per il collaboratore la revoca anche dei benefici esterni cui sia stato ammesso proprio subordinatamente alla sottoposizione alle speciali misure per la sua incolumita': questa interpretazione della norma de quo, oltre ad essere del tutto in contrasto con il disposto letterale della stessa che vincola in modo strettissimo la deroga alle vigenti norme ordinarie in tema di benefici penitenziari alla vigenza delle misure di protezione, contrasta con l'art. 3 Cost: invero permetterebbe ai collaboratori di giustizia gia' sottoposti a speciale programma di protezione, peraltro revocato in seguito, di permanere nella fruizione di benefici penitenziari al di fuori delle condizioni rigidamente previste (ed applicate) per tutti gli altri detenuti ordinari e non ordinari, compresi coloro che, pur essendo dichiarati collaboratori di giustizia ai sensi dell'art. 58-ter o.p., non sono mai stati ammessi allo speciale progmma di protezione e dunque si vedono denegata la possibilita' di fruire di benefici alternativi alla detenzione se il loro limite residuo di pena supera il tetto previsto dalle norme vigenti. Eppure, a bene valutare, trattasi di situazioni personali perfettamente identiche (detenuti collaboratori riconosciuti ex art. 58-ter o per ammissione allo speciale programma protettivo), che tuttavia riceverebbero un trattamento differenziato solo in misura della preventiva e non piu' attuale applicazione di misure per la tutela personale nei confronti di alcuni di loro, che solo per essere stati in passato "protetti", continuano a beneficiare degli effetti conseguenti alla protezione applicata, pur non essendo piu' bisognosi della stessa. Al tribunale sembra che il disposto dell'art. 13-ter legge 15 marzo 1991 n. 82 non possa ritenersi conforme ai principi costituzionali che regolano l'esecuzione della pena e all'applicazione della giustizia conformemente ai dettami democratici della eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alle istituzioni.